Un crescente numero di recenti ricerche scientifiche sta dimostrando come la musica riesca a influenzare la percezione della gente del gusto, del sapore e della consistenza generale del cibo e dei cocktail.
Diversamente dall’idea trasmessa da un’inserzione pubblicitaria di qualche anno fa dell’AEG Electrolux per i suoi elettrodomestici da cucina, che aveva come slogan “La cucina silenziosa come una biblioteca”, le cucine, soprattutto quelle professionali, sono luoghi pieni di rumore – o almeno dovrebbero esserlo. Lo chef Zakary Pelaccio, fondatore dei ristoranti Fatty Crab e Fatty ‘Cue nel Nordamerica, scrive nel suo libro “Eat with your hands” (“Mangia con le mani”), “Invece di una cucina silenziosa, con la tipica vitalità di un’aula di giustizia, volete che la vostra cucina sia una festa? Allora mettete su un po’ di musica”… “Ogni cucina professionale che io abbia mai gestito e ogni cucina casalinga nella quale io abbia mai trascorso del tempo sono piene di musica. Se guardate meglio, noterete che tutti cucinano a ritmo. Tutti i bravi cuochi lavorano con un ritmo naturale – potete vederlo nel loro passo, sentirlo nel modo in cui affettano o battono il pestello. Quel ritmo è la sottile manifestazione di una connessione del cuoco con i suoi ingredienti. Allora, accendete la musica”.
Tutte le ricette contenute nel libro di Pelaccio sono accompagnate da un suggerimento musicale che indica cosa ascoltare mentre si prepara il piatto. Quindi, per chiunque stia pensando di cucinare il Frog leg clay pot (la pignatta di zampe di rana) dello chef, per esempio, il consiglio musicale è “Ghostland Observatory, o ogni altra kitsch e divertente dance music perché vi farà camminare sulle uova, così non brucerete la rana. In omaggio alla musica, saltellate un po’ di qua e di là.
Seguendo in un certo senso il consiglio di Pelaccio, lo svedese Per Samuelsson crea letteralmente la musica con i suoni della cucina. Registra i suoni della preparazione, il rumore che si fa sbucciando, tagliando, affettando, trinciando, macinando, shakerando e mescolando così come il lavoro degli chef per preparare i piatti che più tardi verranno serviti (vedere Fig. 1). Questi suoni vengono poi usati come elementi (o se preferite strumenti) nelle sue composizioni musicali. L’elemento chiave delle sue performance è il loro essere strettamente legate al luogo e all’evento. Ovvero, le composizioni musicali vengono trasmesse ai clienti mentre si stanno facendo una scorpacciata dei frutti delle fatiche dello chef. Sentono il cibo mentre viene creato, letteralmente. È facile immaginare quanto un approccio del genere possa aiutare a promuovere una connessione più intima tra la cucina e la clientela. Anzi, sarebbe di certo interessante condurre l’appropriata ricerca sperimentale per valutare questa tesi in modo empirico. Stando a Samuelsson, uno degli obiettivi della sua opera è mettere in luce gli spesso sottostimati sforzi necessari alla creazione del cibo che il cliente mangia con soddisfazione. Allo stesso tempo, Samuelsson spera di creare una coinvolgente atmosfera multisensoriale che migliori l’esperienza del pasto per chi è abbastanza fortunato da poterne approfittare.
Fig. 1: Per Samuelsson sul palco al Sensibus Festival tenutosi in Finlandia nel 2014. La proiezione sullo sfondo mostra il musicista in cucina mentre sta registrando le prime battute per una delle sue performance
Il silenzio in cucina
Al contrario di Pelaccio che ha affermato di preferire un accompagnamento sonoro in qualunque momento stia cucinando, non avreste sentito nessuna musica se foste stati tanto fortunati da finire nella cucina del ristorante ElBulli, vicino a Rosales, in Spagna. È stata proibita! Infatti, appena prima che il ristorante chiudesse le porte per l’ultima volta, il grande chef Ferran Adrià ha detto: “Non ascoltiamo mai musica in cucina – non possiamo”. Il silenzio è stato all’ordine del giorno anche nel famoso ristorante di Chicago Alinea (da notare che è spesso segnalato tra i migliori al mondo). Stando all’head chef Grant Achatz “Nel ristorante non c’è nessuna musica… E niente musica nemmeno in cucina”. La ragione è che Achatz non voleva che nulla interferisse con il suo lavoro (senza contare i clienti che assaggiavano ogni singolo boccone del cibo che aveva preparato con il suo team). Altri ristoranti famosi con cucine silenziose includono il New York City’s Eleven Madison Park. Stando allo chef Daniel Humm, “La cucina ha già una sua musica. Basandoti sul suono della cucina, puoi dire come stanno andando le cose. La musica rovinerebbe tutto.”.
La musica in cucina
Sul fatto di trasmettere o meno la musica in cucina esiste anche un’altra scuola di pensiero. Pelaccio non è certo l’unico cuoco che crede che la musica sia una buona idea. Stando a un giovane chef del Recette, nel West Village di New York, per esempio, la musica aiuta a far scorrere i succhi della creatività. Per citare le sue parole, “Quando tutto diventa troppo frenetico e travolgente, non faccio che accendere una melodia. E mi concentro.”. Allora forse invece di vedere la musica in cucina come una distrazione, si dovrebbe considerare l’importante ruolo che può avere in termini di motivazione per lo staff che ci lavora, senza parlare poi della facilitazione del processo creativo.
Secondo un giornalista che si è occupato dell’argomento, non è solo il Recette a incoraggiare la musica nelle cucine: “Chiedete in giro e sentirete una gran quatità di testimonianze come questa. Molti chef di New York e di tutto il Paese, specialmente quelli che hanno meno di quarant’anni, dipendono dalla musica come se fosse una parte tanto cruciale del loro processo creativo da sentirsi alla deriva senza.” … “Mi ucciderei,” ha detto lo chef Emma Hearts, 25 anni, che potevate trovare al lavoro col suo team, una sera di marzo, a darci dentro sulle note di “Custard Pie” dei Led Zeppelin ai fornelli dello Storella, sul Lower East Side. “Non vorrei lavorare con qualcuno che non ascolta musica. Non potrei essere felice… La musica è l’ingrediente segreto (a volume massimo) al Recette, e non sto parlando del genere musicale che assoceresti automaticamente a una presentazione delicata di, diciamo, foie gras arrosto o gambero blu crudo. In questo bistro urbano, quegli eleganti piatti filano fuori dalla cucina sull’uragano di note delle percussioni dei Pearl Jam, di Nine Inch Nails, di Alice in Chains, dei Metallica e dei Tool” [link]. Più di recente, altri giornalisti hanno cominciato a fornire liste della musica preferita trasmessa nelle cucine dei ristoranti, partendo da Dallasfino a finire a Washington D.C..
La musica motivazionale
Il giovane chef franco-colombiano Charles Michel, attualmente chef in residence al Crossmodal Research Laboratory dell’Università di Oxford, descrive Frank Cerutti, chef de cuisine al “Louis XV”, ristorante dell’Hotel de Paris a Monaco (http://en.wikipedia.org/wiki/Le_Louis_XV_(restaurant), mentre mette su un disco heavy metal durante la “mise en place” per far sì che lo staff di cucina sia più veloce! Anzi, l’aneddoto parla anche del motivo alla base della decisione dello chef di trasmettere musica nella speranza che motivi i lavoratori. Colin Lynch, l’executive chef del Barbara Lynch Gruppo, che comprende ristoranti come il Menton e il No. 9 Park, dice “Non credo di aver mai lavorato in una cucina dove non ci fosse della musica. L’intera energia della cucina cambia. La velocità a cui la gente lavora cambia a seconda di cosa si sente. Durante la preparazione, hai la testa da un’altra parte. Fai una sola cosa per 45 minuti filati. La musica aiuta a tenere il ritmo”.
I condimenti musicali: valutare le testimonianze
Ora, la questione che bisogna a questo punto porsi è se la musica che viene ascoltata da tutti quegli chef che lavorano per lunghe ore in cucina potrebbe non esercitare alcuna influenza sul modo in cui finiscono col preparare/condire il cibo. Un primo studio che riunisce prove in un certo qual modo rilevanti per la questione viene da Ferber e Cabanac. I ricercatori hanno chiesto a un gruppo di 10 uomini di mescolare un paio di soluzioni dolci (una debole, l’altra forte) per ottenere la mistura più gradevole al palato. I partecipanti hanno anche dovuto mescolare due soluzioni salate per ottenerne una che fosse il meno possibile sgradevole. Durante il lavoro e per i venti minuti precedenti, gli sperimentatori hanno esposto i partecipanti a una di queste quattro condizioni rumorose di sottofondo: sgradevole rumore bianco a 70 o 90 dB, la gradevole selezione musicale preferita dal partecipante (a 90 dB), oppure il silenzio. È interessante comunque che con l’analisi delle soluzioni non si sia riscontrata differenza nei gusti preferiti dalle persone in relazione alla presenza o assenza di rumore. Contrariamente a cosa ci si sarebbe potuti aspettare, date alcune delle opinioni che finora abbiamo citato in questo articolo, il suono ambientale non ha esercitato alcun effetto sulla composizione delle soluzioni preparate, almeno non in questo primo studio. Ciò detto, ci si potrà chiedere se le soluzioni erano abbastanza complesse da permettere davvero alla musica di esercitare il suo pieno effetto. Certamente qualsiasi cosa venga servita nella cucina di casa o al ristorante è probabilmente molto più complessa in termini di gusto, consistenza, aroma e sapore, elementi tutti in competizione per guadagnarsi la limitata attenzione del cliente. La ragione per cui la complessità qui è importante è che ogni effetto di attenzione selettiva potrebbe avere più possibilità di colpire la percezione proprio in presenza di quelle quelle (complesse) condizioni in cui sono in gioco un numero di elementi verso i quali l’attenzione del partecipante può essere attratta. Se si prende invece una soluzione il cui unico gusto/sapore sia il dolce, potrebbe essere difficile dirottare l’attenzione lontano da questo gusto dominante.
Di recente un gruppo di ricercatori finlandesi e argentini è giunto a conclusioni piuttosto diverse sull’impatto che la musica ha nella composizione del gusto. I ricercatori hanno fatto ascoltare della musica a quattro gruppi di persone, formati da un pubblico generico presente a una fiera della scienza. L’esperimento consisteva nel fatto che la musica era stata preselezionata per avere o una connotazione musicale “dolce” o “acida” (link ). Prima di tutto sono state valutate le associazioni di parole sul cibo/gusto che sono venute alla mente delle persone ascoltando la musica. Come ci si aspettava, l’analisi dei dati ha rivelato che le associazioni di parole erano proprio connesse al presunto gusto della musica.
Ai partecipanti allo studio di Kontukoskisono stati forniti una serie di ingredienti dolci e acidi con cui lavorare, e sono stati invitati a mescolarli in un cocktail che, in un certo senso, rispecchiasse la musica che stavano ascoltando. Gli ingredienti dolci includevano il succo di mango, d’arancia e il miele liquido, mentre quelli acidi il pompelmo, il limone e l’ananas. L’analisi della composizione dei cocktail al termine dello studio ha rivelato che durante l’ascolto delle selezioni musicali “più dolci” è stato mescolato un numero significativamente maggiore di cocktail più dolci (123 g/l di zucchero e 8,6 g/l di contenuto acido totale), rispetto alla quantità di cocktail dolci creata durante l’ascolto della musica cosiddetta acida (97 g/l di zucchero e 11,9 g/l di contenuto acido totale). È però forse interessante fermarci un momento qui, per riflettere su un altro modo in cui questi risultati potrebbero essere letti. Si sarebbe potuto prevedere un’assimilazione oppure un effetto di contrasto a priori. Forse ci si aspettava che la musica “dolce” preparasse il gusto associato e che per questo i partecipanti avrebbero creato cocktail mediamente più dolci. D’altra parte, però, forse ci si aspettava che la musica “dolce” portasse i partecipanti ad aggiungere meno dolce ai loro cocktail (poiché a un po’ di dolcezza già provvedeva la musica suonata in sottofondo).
Gli interessanti risultati di Kontukoski non riescono in un certo qual modo a dimostrare che la natura della musica trasmessa come sottofondo nella cucina di un ristorante (o anche in quella di una casa privata) per forza influenzerà la natura dei piatti preparati o, quantomeno, il condimento applicato. Detto ciò, i risultati rappresentano senza ombra di dubbio un passo nella giusta direzione per una valutazione empirica di questa tesi. Sarà quindi interessante per la ricerca futura determinare cosa accadrebbe se questo specifico studio, o uno simile, venisse ripetuto con un nuovo gruppo di partecipanti. Ma in questo caso ai partecipanti verrebbe solo chiesto di mescolare un cocktail secondo il loro gusto personale, con in sottofondo una musica che verrebbe discretamente (e incidentalmente) cambiata tra il dolce e l’acido da un cocktail all’altro o viceversa.
La corrispondenza cross-modale tra la musica e il gusto
I risultati di Kontukoski possono essere inclusi nella crescente letteratura che sta mettendo in evidenza le corrispondenze cross-modali talvolta sorprendenti che esistono in tutti noi tra la musica che ascoltiamo e determinati e specifici gusti, aromi e sapori. Nella pratica, ciò significa che sentendo un determinato pezzo musicale, la nostra attenzione può subire un’influenza quando si tratta di valutare gli elementi (ovvero, gusti e/o sapori) su cui ci stiamo concentrando. Così, per esempio, batti tintinnando i tasti acuti di un pianoforte o degli scacciapensieri ed ecco che l’attenzione della gente verrà attratta verso i gusti più dolci di un piatto. Al contrario, suona le note basse e/o musica da ottoni e le note più acide di, per esempio, cioccolato nero o caffè verranno accentuate. Comunque, mentre l’attenzione potrebbe essere precondizione necessaria affinché alcune corrispondenze cross-modali esercitino il loro effetto, sembrerebbe che altre corrispondenze potrebbero operare in assenza di esplicita attenzione da parte del partecipante agli stimoli della componente monosensoriale.
La musica dell’umore
Ora, è di certo importante tenere a mente che il gusto della musica ( “dolce” o “acido”) non è il solo modo in cui ciò che ascoltiamo può influenzare la preparazione o il condimento di un cibo o di un cocktail. C’è anche la possibilità che la musica possa indurre un certo umore o una certa emozione in chi la sta per caso ascoltando in quel momento. Ciò potrebbe a sua volta influenzare la percezione del gusto, e quindi il modo in cui uno chef condisce un piatto. Così, per esempio, è stato dimostrato che l’umore di una persona può avere effetti sulla sua capacità di rilevare gli stimoli sia olfattivi che gustativi. In uno studio rappresentativo, Pollatos et al. hanno presentato ai partecipanti immagini gradevoli, sgradevoli e neutre prese dal database dell’International Affective Picture System (IAPS). Dopo aver visto una selezione di immagini sgradevoli, la sensibilità dei partecipanti agli stimoli olfattivi si è abbassata, per via della stimolazione emozionale negativa. Altrove è stato dimostrato che gli individui ansiosi tendono a essere meno sensibili al gusto amaro e a quello salato. E gli individui normali posti in condizioni di stress mostrano un incremento di sensibilità al gusto amaro della saccarina. È stato dimostrato che l’emozione tocca anche la percezione olfattiva.
Non sembrerebbe una grande esagerazione immaginare che alcuni tipi di musica di sottofondo possano mettere lo chef (o chiunque altro gestisca la preparazione o il condimento del cibo) di un umore particolare, positivo o negativo che sia. A sua volta ciò potrebbe influenzare sottilmente la sua percezione del gusto/sapore, e quindi il modo in cui alla fine il piatto viene condito. Proprio un’idea del genere in effetti è stata colta alcuni anni fa da Salman Rushdie nel suo pluripremiato romanzo “I figli della mezzanotte”, dove il narratore dice “… e Amina mescolò i suoi insuccessi in un piccante chutney di lime che mai risparmia lacrime” (link). Dato che il nostro umore ha effetti sulla nostra percezione del gusto (e del sapore) del cibo e del cocktail, sarebbe davvero interessante nella ricerca futura valutare se l’ascolto di un pezzo musicale ottimistico oppure depressivo influenzi diversamente il modo in cui uno chef condisce il cibo. Certamente il suggerimento da parte di chi cena nel ristorante è che con la musica giusta il cibo ha un sapore migliore. Prendete solo questa citazione, “… Siedo in un ristorante – c’è della musica. Sapete perché c’è la musica nei ristoranti? Perché cambia il gusto di tutto. Scegliendo il genere giusto di musica, tutto è buono. Chi lavora in un ristorante lo sa di sicuro …” (link).
Camuffare il gusto con il forte rumore
Infine, per quanto riguarda il presunto meccanismo – o meccanismi – sottostante all’effetto cross-modale della musica sul gusto, vale la pena di notare che è stato dimostrato che i suoni forti reprimono la nostra capacità di sentire i sapori. Pensate solamente al rumore forte (c. 85 dB) dei motori di un aereo. Un rumore di fondo così forte reprime la capacità delle persone di gustare il dolce e il salato, ma contrariamente a ciò che direbbe il buon senso incrementa l’abilità di percepire l’umami. Il problema del forte rumore di fondo non si limita all’aria, però. I livelli di rumore in molti ristoranti famosi sono, in effetti, molto più alti. Con un rumore (composto sia dalla musica di sottofondo che dal chiasso della conversazione animata) che in molti ristoranti va dai 90 ai100 dB, non è una sorpresa che un numero crescente di critici gastronomici ora lo includa nelle valutazioni sulla qualità del cibo.
Rimane comunque una questione aperta se questo genere di rumore da ristorante eserciti lo stesso effetto idiosincratico sulla percezione dei diversi gusti, così come, stando ai recenti studi, fa il rumore dei motori di un aereo. Il camuffamento cross-sensoriale è quindi probabilmente il terzo modo in cui ciò che ascoltiamo cambia quello che gustiamo e quanto alla fine ci godremo l’esperienza culinaria.
Applicazioni
Visto ciò che è stato detto finora in questa sintesi, ci si potrebbe facilmente convincere che la cucina-test del Splendid Ice Creams di Columbus, in Ohio potrebbe davvero aver portato allo scoperto qualcosa: stando a una giornalista che ha visitato il luogo, ogni stanza ha un suono diverso a seconda del gusto di gelato che lì viene prodotto. La giornalista continua, “Mentre gli impiegati scaldano indolentemente marshmellows con il cannello, potreste sentire Schubert. Mentre mescolano ingredienti antichi come franchincenso e miele e mandorle per i giorni di festa, il contesto potrebbe essere dato dalle austere e runiche ballate di una cantante danese di nome Agnes Obel. Le estive infornate di dolci vengono alla vita con il luminoso e brillante pop di artisti come Lady Gaga, Katy Perry, Madonna e Nicki Minaj.” (link).
In aggiunta al ruolo che la musica ha nel motivare uno staff per spingerlo a non smettere di affettare, bisogna poi chiedersi: e se lo chef del ristorante non volesse accordare la musica suonata in cucina ai piatti/salse che vengono preparati?
Conclusioni
Come questo articolo ha – si spera – chiarito, gli chef professionisti hanno visioni davvero diverse a proposito dell’appropriatezza della musica nelle cucine che gestiscono. Mentre alcuni cuochi non possono farne a meno, altri l’hanno interamente vietata dalle loro cucine. Detto ciò, l’idea che ho ricavato leggendo la letteratura specifica è che la musica negli ultimi anni sia diventata un aspetto più comune nelle cucine dei ristoranti. Non in tutte, certo, ma di sicuro in un numero sempre maggiore. Le testimonianze che stanno emergendo adesso dimostrano che ciò che noi, chef o cuochi casalinghi, sentiamo può, almeno in alcuni casi, influenzare il modo in cui condiamo il cibo. Ciò potrebbe derivare dalla corrispondenza cross-modale tra le proprietà sonore della musica e la percezione del gusto/sapore. D’altra parte potrebbe anche essere conseguenza della potenziale capacità della musica di alterare l’umore o dell’influenza che esercita sulle emozioni, e che il conseguente umore/emozione ha sulla percezione del gusto/aroma. Infine, è di sicuro importante non dimenticare l’effetto repressivo del rumore di fondo eccessivamente forte sulla percezione del gusto (ciò che alcuni chiamano camuffamento cross-modale). Certamente, oltre a ogni effetto che la musica ha sul modo in cui lo chef condisce il cibo, è importante non trascurare il suo ruolo motivazionale, la sua capacità di alleviare la noia, e forse anche il suo ruolo nella risoluzione creativa dei problemi.
In conclusione, qualcuno si starà chiedendo perché dovremmo occuparci di cosa lo chef ascolta in cucina. Be’, le testimonianze qui portate suggeriscono che la moda musicale in cucina si stia ormai facendo strada fin nelle sale di molti ristoranti famosi. Inoltre, dato che ciò che ascoltiamo influenza quello che gustiamo, e perciò anche il modo in cui i piatti vengono creati/conditi, si potrebbe essere tentati di chiedersi se la stessa musica dovrebbe essere trasmessa anche negli spazi (per esempio, il ristorante o la sala da pranzo) in cui quello stesso cibo viene consumato. Questo suggerimento è stato avanzato per la prima volta da First in un articolo dove si legge “Certamente, se il gusto del cibo e la gradevolezza dell’esperienza culinaria sono davvero influenzati dalla musica che per caso viene trasmessa come sottofondo, allora potrebbe avere senso adottare la strategia di trasmettere esattamente la stessa musica sia nelle cucine sia in sala.”
Comunque, detto ciò, ci si dovrebbe sempre ricordare che “Non importa quanto raffinato sia il cibo nel ristorante… la musica trasmessa durante la preparazione dello stesso sarà probabilmente meno elegante. Nessuno ascolta Vivaldi lucidando verdurine e smembrando anatre”(link)! Detto questo, tale musica sarà sempre migliore del muzak trasmesso per troppo tempo in tanti ristoranti nel mondo(link), (link).
Fonte: Flavour Journal